Amadeus Magazine

«Cantare Adriana Lecouvreur è stato sempre il mio sogno. Ma non l’avevo ancora mai realizzato. Al Teatro Comunale di Bologna è per me una prima assoluta», dice il celebre soprano lettone Kristine Opolais. L’opera di Francesco Cilea, con la regia di Rosetta Cucchi e la direzione dell’israeliano Asher Fisch, è uno spettacolo concepito e realizzato per la televisione. Registrato in febbraio per Rai Cultura va in onda il 10 marzo su Rai 5 alle 21.15.  Accanto alla Opolais Luciano Ganci (Maurizio), Romano Dal Zovo, Nicola Alaimo e Veronica Simeoni.

Com’è questa produzione?

«Mi sembra inusuale e dunque molto intrigante. La regista ha ambientato l’opera in diverse epoche, nello spettacolo raccontiamo non solo l’Adriana del ’700 ma tutte le Adriane che sono realmente esistite da quel giorno fino a oggi, muse che hanno ispirato il proprio tempo».

Per esempio? 

«Nell’atto iniziale è la vera Adriana dell’opera, vissuta nel 1700, che racconta il primo capitolo della storia, nel secondo atto siamo nell’800 e Adriana idealmente è Sarah Bernhardt, che interpretò il ruolo, dal dramma di Scribe e Legouvé, a teatro; nel terzo atto approdiamo agli anni ’20 del ‘900 dove il cinema entra in maniera prepotente nella società del tempo e i sentimenti vengono filtrati dalla macchina da presa, ed ecco idealmente Yvonne Printemps, protagonista di uno dei primi film ispirati alla Lecouvreur, Greta Garbo e Loie Fuller. Nel quarto atto arriviamo agli anni ’70, in una Parigi dominata dalla Nouvelle Vague, c’è una donna che potrebbe essere Catherine Deneuve, si confronta con sé stessa e con l’immagine che il mondo ha di lei come in un film di Godard, come dice Rosetta Cucchi, in questo spazio vuoto trova la sua vera essenza».

È teatro nel teatro.

«Sì, una delle idee di Rosetta Cucchi (mentre la regia televisiva è di Arnalda Canali, ndr) è che prima della celebre romanza “Io son l’umile ancella” io mi trucchi in uno dei palchi che viene trasformato in camerino e i telespettatori vedranno quello che non si vedrebbe a teatro, è un film-opera. Condivido pienamente Rosetta quando dice che Adriana, che è un artista, vive la sua breve esistenza come se tutto fosse scritto in un copione, il teatro diventa la chiave di volta per esplorare le passioni umane».

Perché è così innamorata di questo personaggio? 

«Mi interessa perché è un’attrice, il suo modo di recitare fu rivoluzionario, moderno. Poi, non ricordo se prima della sua nascita o mentre ero incinta, decisi di chiamare mia figlia Adriana. In un primo tempo come nome pensavo a Maddalena, ma è un nome pesante, non ha un destino facile. L’ho chiamata Adriana Anna per creare una doppia “A”, non so perché. La figura di un’attrice è più intrigante di una cantante d’opera. Io da piccola volevo diventare una popstar o un’attrice. E questa è una delle ragioni per cui adoro Adriana Lecouvreur».

Allora perché non recita in un film?

«Ho avuto diverse offerte per recitare a teatro, in Germania, in Austria, nella mia Lettonia, ma sarebbe difficile in una lingua che non è la mia, e comunque il mio sogno era di diventare attrice di cinema e non di teatro. Mi sono avvicinata all’opera lirica dopo aver ascoltato un disco di Maria Callas».

Ha un’attrice preferita?

«Ne ho diverse, se devo spendere un solo nome dico Tilda Swinton, così moderna, fuori dai canoni di bellezza. Un’attrice non deve essere bella come Barbie».

Lei non ha fatto studi regolari…

«Ed è stata la mia fortuna. Mi preparai per gli esami d’ammissione all’Accademia vocale ma non ero brava in Storia della musica e nel solfeggio, ed ebbi un punteggio basso. La musica non è contare le note, non è matematica. Il solfeggio ti può essere utile se sei una insegnante, per una cantante d’opera non serve. Ho continuato gli studi privatamente. Mi sono ritrovata a cantare nel Coro del Teatro Nazionale lettone in due anni, facendo esperienze sul campo mentre le mie coetanee stavano ancora studiando al Conservatorio».

Il punto di svolta quale fu?

«Forse La bohème del 2014 al Metropolitan di New York. Un successo incredibile. Quella volta ho finito di cantare Madama Butterfly alle dieci e mezza della sera e alle due e mezza del pomeriggio del giorno dopo cantavo ancora Puccini nella nuova produzione».

Lei ha detto in una intervista di aver perso a un certo punto la presenza scenica, i colori, l’energia della voce.

«Non ricordo di averlo detto, comunque le cose non andarono così. È vero che, poco prima di divorziare (il suo ex marito è il celebre direttore d’orchestra e conterraneo Andris Nelsons, ndr) avevo perso motivazioni. Mi sentivo stanca, vivevo la musica soltanto come un business crudele, il mio manager di allora non mi faceva smettere mai di cantare, un debutto dopo l’altro».

E lei?

«Io gli dissi che non andava bene, lui rispose che non potevo cancellare i contratti, non potevo saltare da un treno in corsa. Intanto mia figlia Adriana, che ora ha nove anni, stava crescendo in mezzo alle valigie, la portavo con me da una città all’altra. Quando cominciò a andare a scuola, dovetti lasciarla a casa. Ero sola, depressa, nervosa. Se Adriana si ammalava ed io ero lontana, mi sentivo in colpa. Volevo aiutarla nei compiti, essere come tutte le mamme. La cosa buffa e triste è che lei a cinque anni quando mi esercitavo a casa o vedeva i miei video in televisione si metteva a piangere, le protagoniste dell’opera sono infelici e mia figlia, non essendo in grado di distinguere tra realtà e finzione, non voleva vedermi soffrire. Era davvero piccola, in una produzione di Madama Butterfly nella scena dell’harakiri dovevo piantarmi il coltello sul ventre, e poi cadere dal palcoscenico. Una scena terribile anche per me. È incredibile come mia figlia ed io fossimo interconnesse in quel momento».

Kristine, come è uscita fuori dal super lavoro?

«Sentivo la necessità di rallentare i miei ritmi professionali, mantenendo la stessa intensità. Il manager mi propose di cantare un repertorio diverso, più leggero, lirico ma non troppo, Rusalka, Mimì».

Ha dovuto ricostruire una identità artistica?

«No, mi sono rifiutata di farlo. Ma ho imparato a dire dei no, per esempio Salome e La Fanciulla del West, troppo presto. Ho deciso di cantare solo i ruoli che volevo e andare nelle città che volevo. Non devo dimostrare chi sono, ho quarant’anni, faccio questo mestiere da quando ne ho ventisette. Ho vissuto tredici anni senza fare una vacanza. Cominciai a ritagliarmi del tempo libero nelle mie due case, una a Riga e l’altra a Jurmala, vicino al Mar Baltico. E finalmente ho fatto dei viaggi, Malta, Lisbona, nello scorso ottobre sono stata in Grecia e a Cipro».

Il lockdown come l’ha vissuto?

«Bene, la mia vita ha avuto tanti mutamenti in poco più di un mese. Ho cambiato manager ma non perché si sia comportato male, ho rispetto e gratitudine per i bei progetti che abbiamo fatto insieme, solo che, come ho detto prima, avevo bisogno d’altro».